
Per qualsiasi persona che abbia girato l’India l’arrivo a Varanasi è accompagnato dalle solite cose che si trovano nelle altre cittá: il caos del traffico congestionato, il sovrappopolamento ed i forti rumori.
Eppure nell’aria si avverte qualcosa che la distingue e la rende unica questa sacra cittá meglio conosciuta come Benares o Kashi dagli indi.
Varanasi è forse più la cittá dei morti e dei morenti che dei vivi, infatti è la cittá di Lord Shiva il distruttore.
Gli Indù raggiungono la città con il desiderio di morirvi e liberarsi dal ciclo di reincarnazione attraverso il Moksha, arrestando così il perpetuo ciclo di vita e morte dopo aver abbandonato il corpo in questa vita terrena.
Questo è quello che spinge gli Indù ad avere come aspirazione massima il rito di cremazione sulle rive del sacro fiume Gange.
Attenzione, non pensate che le cremazioni avvengano solo a Varanasi, ma questo è il posto piu auspicable in quanto contiene il cosidetto “sacred eternal fire”.
Quest’ultimo, usato nella cerimonia di cremazione assieme all’acqua del fiume Gange fungerebbero da elementi purificatori nella celebrazione funebre.
Questa cittá è intensa e complessa e proprio mentre nella sacralitá della cerimonia funebre me ne stavo lì a pensare è arrivato il solito avvoltoio di turno a cercare di lucrare sulle morti altrui.
L’india in generale è un po’ così, imprevedibile…
Sono così legati alle loro celebrazioni e sacralità ma poi arriva uno sciacallo qualunque e smonta tutto.
Non solo alcuni vogliono “permetterti” di fare foto ai defunti (che non sono nemmeno loro parenti) ma altri cercano di spacciare ai turisti in prossimitá del Ghat perché sanno che è territorio fertile, pieno di turisti pronti all’acquisto.
Così tra un celebrazione e l’altra oltre ai canti dei parenti che trasportano i loro cari, si sente bisbigliare un leggero “Hashh… Weed…Marjuana..?”..che rovina l’atmosfera.
Ma giustamente dobbiamo aspettarci anche questo dal momento in cui “noi occidentali” prima di tutto, li abbiamo abituati a questi atteggiamenti.
Mentre i pensieri vagavano, cercavo anche di seguire il rituale funebre in mezzo a tutto quel caos.
La prima volta non si dimentica facilmente, perchè ci si sente un po’ fuori luogo e forse anche di troppo, ma poi ci si rende conto che lì in mezzo rappresentiamo solo un puntino in mezzo ad una folla.
Ognuno pensa al proprio dolore, al proprio lavoro da portatore del fuoco sacro oppure a trasportare il legno delle pire.
Quando i maggiori sentimenti contrastanti passano ci si concentra solo su ciò che si vede, cercando di restare anche un po’ freddi per non farsi sopraffare dalle emozioni.
Per non reagire di pancia ed in maniera emozionale alla celebrazione, facevo quasi finta che vedere un piede che lentamente prende fuoco e cambia colore non mi toccasse, non mi facesse rabbrividire.
Immediatamente si cerca di combattere anche la minima possibilitá di sentire gli odori, oppure di allontanare la fuligine dei cadaveri che ci si posa sui tuoi vestiti e ti entra nelle narici.
Si cerca di assistere ed osservare come se fossimo dall’altra parte di uno schermo, lontani ma non troppo, da non perderci ogni minimo dettaglio e passaggio del rito.
Non c’è stata occasione in cui non abbia ammirato questa “condivisione del dolore”, questa celebrazione così forte, significativa e dal rituale ben preciso.
I corpi vengono trasportati verso i Ghat da amici e parenti, tutti rigorosamente di genere maschile ed accompagnati da canti che scandiscono il passo ed esprimono spesso anche il loro dolore.
Il defunto viene avvolto da diversi strati di teli bianchi e pure arancioni/rossi verso l’esterno; infatti ognuno dei famigliari una volta che il cadavere viene posato sulle rive dei fiume, posa un panno sul cadavere fino a quando non è ricoperto da numerosissimi veli.
Il defunto viene poi lavato nel fiume, a volte vengono in parte spogliati mentre altre direttamente immersi con i tutti i teli.
Solamente il viso resta scoperto in questa fase, in quanto la procedura di purificazione prevede l’immersione del corpo e poi con cura si posa un pugno d’acqua nella bocca del defunto e di colui che esegue il rituale.
Nel frattempo, alcuni degli addetti al fuoco compongono le pire di legno in attesa del corpo.
Una volta sistemato il corpo sulla pira, altro legno viene posto sul defunto per bloccarlo ed evitare che contrazioni involontarie dovute dalla combustione lo facciano muovere oppure come successo in casi peggiori, il busto si alzi come se fosse seduto sulla pira.
Per evitare che durante la combustione vengano emanati cattivi odori, trucioli di sandalo vengono sparsi sul corpo e sulla pira per i meno abbienti, mentre chi può permetterselo compra direttamente tronchi di sandalo.
Una volta organizzato tutto, un addetto al tempio porta la fiaccola con il sacro fuoco eterno, che si dice bruci nel tempio da ca. 3000 anni.
La fiaccola viene data ad un membro maschile della famiglia della vittima, solitamente il figlio maschio, il fratello o marito..mai alle donne comunque.
Questo per una ragione precisa, perchè l’uomo che appiccherà il fuoco, deve passare per un rito che prevede la purificazione nel fiume attraverso il bagno, la rasatura dei capelli ed indossare una semplice veste bianca.
Per 11 giorni dalla morte del defunto in segno di lutto, tutta la famiglia e soprattutto quest’ultimo, devono condurre una vita semplice e fatta di rinunce.
Devono dormire per terra, indossare delle vesti umili e poco appariscenti e mangiare un solo pasto al giorno.
Appena la fiaccola viene data al destinato alla cerimonia, esso inizia a recitare delle preghiere e girare in cerchio intorno alla pira per 5 volte, per aiutare l’anima del defunto a connettersi con i 5 elementi naturali; dopo di che il fuoco viene appiccato a partire dai piedi.
Le donne possono partecipare alla cerimonia, ma ad una sola condizione: non sono ammessi pianti ad urla, perchè impedirebbero al defunto di lasciare questo mondo in maniera pacifica.
Infatti l’ascensione dell’anima verso il Nirvana deve essere pura, non triste e dolorosa.
Il corpo brucia sulla pira per 2-3 ore solitamente, ma questo dipende anche dalle fattezze del defunto: infatti quelli dal peso più pesante hanno bisogno di piú legna e di bruciare più a lungo ovviamente.
Al termine della cerimonia, oltre alla cenere alcune parti come il cranio ed il bacino spesso resistono alla cremazione, ed i resti non carbonizzati, vengono raccolti in un vasetto di terra cotta e poi liberati nel fiume.
Purtroppo la corrente del fiume spesso riporta i resti verso la riva, dove cani randagi attirati dall’odore attendono con impazienza il loro “pasto”.
Diversamente da come ci si aspetterebbe, non tutti gli Indù vengono cremati attraverso la stessa cerimonia funebre;
Infatti i Sadhu, detti anche Holy Man, donne in dolce attesa e bambini al di sotto dei 10 anni vengono considerati puri, quindi non necessitano del rituale di purificazione.
Infatti questi ultimi vengono semplicemente avvolti in un telo bianco e posati sulle acque del sacro fiume.